
Ingannevole è la vista, che nell’orizzonte profondo chiede asilo alla mente affinché costruisca lo sfondo a quel paesaggio desaturato.
Solo auto, cancellate, ringhiere costeggiano il marciapiede verso il mare, un recinto di ferro smaltato e finta pietra squadrata compongono lo sfondo paradisiaco del mondo. Quello stesso che oltre gli sbarramenti, provoca fascinosi spasmi di paura, mistico stupore, piacevole tepore.
Alla destra una lingua di cemento armato a pelo d’acqua con bitte sparse, sulla sinistra un fiume di catrame e ferraglia su gomma, che nel cigolio dei motori annunciano l’arrivo e la partenza di conduttori distratti e svogliati.
La via alberata è spoglia delle fronde colorate, è ancora inverno e il vento ha soffiato via tutto l’autunno dai toni ambrati e caldi per fare posto al bianco della luce intensa, dal freddo pungente e dal vento sibilante. Quel sole, che per pochi giorni o forse ore, sfoltisce i cumuli di acqua vaporizzata, impregnano spugne sature di particolato.
Il marciapiede è libero, le navi sono salpate, i mezzi tardano ad arrivare. Capricci degli uomini che pilotano quei natanti indisturbati dai ritardi che provocano e dei malumori annunciati di quei viaggiatori stanchi. Ricordi di quando Virgilio affrontava le tempestose acque per condurre Dante nel suo viaggio umano e trascendentale, delle tempeste di sale sulla giacca sgualcita di questo sprovveduto pescatore di pensieri erranti.
Solitudine e pensieri trasudano dal marciapiede, invaso da un degrado umano e dall’inerzia collettiva. Sorpreso nel silenzio di quei passi in un cardio-battito, segue la lingua di strada pedonale nel purgatorio delle automobili. Ecco il primo curvone, questa volta gli occhi hanno individuato un controsenso che insegue a passo ammortizzato la strada del porto.
Ti osservavo e miravo al tuo sorriso quasi accennato, forse una smorfia di fatica su quei trampoli. Mi concentro sul viso, ti conosco o forse riconosco le tue sembianze. Balena alla mente i pensieri di chi potrebbe giudicare il mio gusto, non appari provocante o fascinosa per il mondo maschile, non sei prosperosa o avvenente, non sei aggraziata. In verità è il tuo passo che colpisce i miei occhi. I colori sono misti, un rosso acceso, un bianco avorio e una fantasia di questi toni che non saprei descrivere ma che ti fa distinguere dal comune vestire. Non sei a tuo agio su quei trampoli, ondeggi e accompagni con le ginocchia il rimbalzo del tuo passo. Si vede lo stacco da terra nervoso e l’appoggio potente. Sei un fuscello che ondeggia al vento, i tuoi capelli che si adagiano sulla fronte ondeggiano con esso quasi come i tentacoli di un salice piangente. Gli occhi mi fissano o forse vorrei pensare che fossero a me indirizzati, così come i miei.
Ma non sei solo questo. Mi colpisce la tua presenza, la forma del tuo viso e tuoi tratti distinguibili quando il tempo invecchierà le sue carni e cederà le sue forze. Fattezze semplici e ricche di particolari.
Siamo soli io e te in rotta di collisione.
Da buon pilota accosto a dritta, il tuo babordo, verso la linea invalicabile di ferro smaltato, e tu ancora mi osservi, sorridi.
Mantengo il mio passo leggero, ponderato, sincero e curioso. Voglio che l’abbordaggio mi raggiunga.
Continui a fissarmi e a stringere la tua traiettoria. Siamo in rotta di collisione.
Non ho modo di fuggire, la boa di ferro è a un passo dalla mia murata e tu sei lì che ancora sorridi e che forse ancora più insistente mi guardi.
Raggiungo la linea di sicurezza. I tuoi occhi non posso sostenerli, non capisco cosa vuoi dirmi, non te lo chiedo, immagino.
Continuo l’abbordaggio, la collisione è vicina e per non offenderti, tengo fisso lo sguardo all’orizzonte. Non posso più guardarti perché non ci riesco.
Siamo quasi vicini e ancora il tuo sguardo lo sento prepotente.
Con la vista periferica noto solo una macchia di colore dai capelli lunghi e ondulati quasi orientati verso di me. Non sono il tuo faro, ma sei tu la mia tenebra, quella che fa paura, che ti rivela l’ignoto, che non mostra le intenzioni del proprio presagio. Non posso vederti andare via e non sono degno di sostenere il tuo sguardo.
I miei occhi sono schermati dagli occhiali scuri, ma sono certo che li vedi attraverso. Inizia l’abbordaggio e continui a stringere la mia rotta. Sento l’equilibrio che viene a mancare nel non vederti arrivare. Mancano i miei riferimenti e non posso stimare il mio pescaggio per attraversare quello stretto canale fra te e la boa di ferro. Il passo diventa meccanico e inizia il doppiaggio. I tuoi occhi fino all’ultimo li sento su di me. La somma delle nostre velocità fanno sì che il momento in cui le nostre scie si toccheranno diventeranno quasi eterne.
Ti sento vicina e lontana, sei vicina e lontana. Non ti posso più guardare, tradirei il mio pensiero e la considerazione che ho di me. Sei ormai distante e inizio a pensare di questo incontro immaginario fra due sguardi. Un abbordaggio mai avvenuto dove la sola vittima è quel debole cieco, che per egoica presunzione, non degna di uno sguardo una gentil donna:
“Potevo accennare un sorriso” – pensai cinquantacinque passi più tardi, ripescando le parole di una internauta sconosciuta.
“Perché mi sorrideva?” – è la domanda che si pose il conduttore sessanta passi più tardi. Intanto la sua figura aveva attraversato le sue spalle, i suoi pensieri, la sua anima ed era finita nella storia, quella di qualcun altro.
Un incontro mai avvenuto che grida riscatto, ma è la paura delle altrui intenzioni che mina il muscolo facciale a comunicare la sua gradita presenza.
Sorridere ad una sconosciuta è così tanto offensivo agli occhi dell’oggi dimenticato?
Forse l’abbiglio del conduttore provocherà ilarità, i suoi lineamenti o il giudizio che ha di se stesso lo associa a quello collettivo di un negativismo sciolto.
Lei, dal viso a lui conosciuto ormai non ricorderà di questo abbordaggio mai avvenuto, di un sorriso mai accennato e delle parole mai scambiate. Quel viso era diverso, aberrante nei tratti canonici di bellezza, unico e gradevole negli oscuri contenuti di una mente che forse apparteneva al suo mondo.
Nel corso di questo viaggio, il cieco iniziò la sua indagine immaginaria su cosa potesse svolgere in quella città, forse l’insegnamento universitario, perché saturo di quegli atteggiamenti consoni al mondo dell’istruzione superiore. Forse e quasi sicuramente un’assistente, quel viso vispo, gli occhi forse scuri e il sorriso accennato, sono di chi inizia questo percorso duro e prepotente. Ancora vergine di spavalderia e di giudizi negativi verso il mondo che la circondano. Forse erano coetanei, forse…
Sul forse esistono mondi, si costruiscono città ideali e sentimenti travolgenti che nella realtà non trovano altra dimora nel posto asettico e ovattato di buone intenzioni, di scarse azioni.
Quei battiti cardiaci intonano la stessa frequenza, creano un ritmo che quella mano mai accennata potrà ascoltare.
Bonjour! I sorrisi dovrebbero sempre nascere spontanei ad ogni incontro, anche casuale. Si tratta di gentilezza, si tratta a volte di feeling immediato, si tratta di molte cose che non dovrebbero andare perdute.
Mi piace molto questo scritto⭐
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Bonjour à toi!
Je suis content de lire ton appréciation. 🙂
Forse è feeling, forse è svista, ma voglio vederla come un’opportunità di incontro sulla via dell’immediata bellezza di quei momenti che passano senza però averne traccia tangibile, nei ricordi e nelle persone.
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Hai una grandissima capacità di descrizione, mi sono sentita partecipe fino alla fine.
La paura ci frega sempre.
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La paure è quello che ti spinge quando la certezza blocca le tue azioni. 🙂
Sono felice che ti piaccia e che sono riuscito a farti entrare nella storia. Grazie di cuore, cara Cuore! 🙂
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Grazie a te 😊
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Struggente questo incrocio su un tratto di marciapiede come fosse in un braccio di mare. Due sconosciuti che resteranno tali eppure reciprocamente modificati.
Piaciuto
ml
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Sono contento che ti sia piaciuto. Ottima sinossi devo dire. Grazie.
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