Imprinting sociale, quando l’adeguamento comportamentale diventa involuzione cognitiva

Nella contemporanea esistenza fra umano e macchina, sono state elaborate azioni e pensieri atti alla crescita comportamentale e sociale di un individuo. L’influenza di queste reti sociali hanno caratterizzato un nuovo modo di opporsi agli stereotipi imposti dal passato, portando allo scoperto pregi e difetti di ogni persona, uomo e donna in primis, evidenziando le sfumature di genere che a livello interiore e fisico, definiscono l’appartenenza e quindi l’accettazione.

Dalla Rivoluzione industriale i passi evolutivi sono stati molteplici specie dalle svariate forme di alienazione che l’opprimente cultura religiosa, i dogmi e le inquisizioni, hanno fatto emergere nuovi istituti di arte e mestieri ma soprattutto correnti di pensiero.
Il desiderio di stringere alleanze, per invadere, dominare o per quieto vivere è ormai storia del passato e di tutti i giorni purtroppo, ma nel mondo Contemporaneo viene maggiormente valutato come condizione necessaria di sopravvivenza sociale di stampo clientelare.
Le scelte traggono ispirazione dalle metodologie commerciali statunitensi, impiegate dopo la prima guerra mondiale, per migliorare lo scambio di merci e servizi attraverso una strategia, che dal 1934 in poi si chiamerà multi-level marketing.
Seppur illegale, nelle culture occidentali, l’utilizzo di un sistema piramidale nel finanziamento e sostentamento commerciale, questo però viene applicato a livello cognitivo dalla pratica comune per determinare una importanza o appartenenza rispetto alla propria “classe sociale” di origine. Un termine abbastanza forte che bisognerebbe utilizzare con parsimonia visto il decadente concetto a cui in passato era associato e che oggi ormai è stato quasi debellato o forse celato.
Si fa riferimento dunque a quel modo di dire tutto italiano per attribuire a se stessi un ruolo privilegiato in una conversazione o in un rapporto umano dove chi conosce chi o è amico di qualcuno, diventa di forte impatto nel mantenimento e sfruttamento di questa rete di contatti.
Quello che sta accadendo nella società odierna ha fondamento nella pratica criminale conosciuto come Schema Ponzi cui segue la sua definizione:

Ponzi game – …lo schema consiste nel raccogliere denaro promettendo in tempi brevi altissimi rendimenti da complicate, ma non del tutto infondate, operazioni di ingegneria finanziaria che peraltro non si intende affatto praticare, se non in minima parte, per gettare fumo negli occhi e rendere verosimile la prospettiva di guadagno. Treccani

Dunque è plausibile pensare che il comportamento socialmente accettato è arbitrato da un farraginoso concetto connesso a questo schema. Un gioco che promette alti rendimenti materialistici (like, amici, followers) a discapito della propria umanità (isolamento, difficoltà comunicative verbali, menefreghismo ed incapacità emotiva). Essere social equivale a mercificare la propria riservatezza dando valore ad azioni e situazioni in favore ad uno stile di vita uniformato atto a provocare reazioni di qualsiasi genere.
Negli arbori della civiltà, quando l’umano era ancora legato visceralmente alla natura, non era propriamente così. La curiosità e la voglia di esplorare, porta a contaminazioni genetiche che nella maggior parte delle situazioni conduce all’estinzione di una o dell’altra classe tassonomica.
In uno studio condotto da Fernando A. Villanea e Joshua G. Schraiber  pubblicato sulla rivista Nature Ecology & Evolution, dimostrano come l’incontro fra l’Homo sapiens dell’Africa occidentale, neanderthalensis europei e i Denisova  dell’Eurasia, esistenti circa 100.000 anni fa, abbiano arricchito e migliorato la struttura cognitiva di cui oggi tutti beneficiamo.

L’analisi, attraverso il confronto del DNA di diversi individui appartenenti a zone ben definite, ha evidenziato le affinità genetiche con le classi tassonomiche sopra descritte. La conclusione dello studio afferma che questi incroci siano avvenuti ripetutamente ma in epoche differenti, a testimonianza del fatto che non si osservano componenti distinte e chiaramente riconoscibili.

Bisogna quindi dedurre che la capacità umana di socializzare ed essere incline all’incontro, sia partita da un gruppo ristretto, che nella migrazione verso continenti lontani, abbiano in qualche modo trovato terreno fertile per affondare le proprie radici, modificando, assimilando ed espandendo il proprio sapere.
Tuttavia non sono dimostrati o documentati atteggiamenti di supremazia da e verso un’altra classe, dipingendo un quadro positivistico dell’Homo Sapiens, come un essere curioso, sociale e dalla grande capacità comunicativa. In realtà, come la storia ha insegnato, è insito nell’uomo il desiderio di predominio per l’affermazione del suo potere, quello che permette una qualsiasi forma di sottomissione a favore di una migliore condizione di vita.
Gli scienziati, come sottolinea il giornalista freelance Luigi Bignami nell’articolo: “L’uomo preistorico esplorava, la donna stava a casa. Sbagliato: era la donna a viaggiare diffondendo cultura e tecnologia”, chiarisce l’errore strumentale che hanno caratterizzano gli insegnamenti scolastici passati, evidenziando aspetti oggi socialmente accettati e compresi.
Lo sapevano gli gnosticisti individuando nella Sophia la componente femminile di Dio e quella generatrice di pensieri e di uomini.
La contaminazione ha quindi portato, con testimonianza e prove tangibili, una forma di miglioramento delle capacità sociali, sviluppando l’intelletto, la comunicazione verbale e lo sviluppo di arti tramite la manifattura.
Tutte queste capacità hanno dato origine alla cultura dei secoli avvenire, prediligendo però lo sviluppo di una specie, quella umana, rispetto all’ambiente che lo circonda. Adattando, modificando radicalmente la natura trasformando la materia prima esistente in natura, in oggetti, abitazioni, villaggi. Quest’ultimo aspetto, su cui scriveranno architetti teorici quali Aldo Rossi, Ludovico Quaroni, diventeranno nei millenni successivi, fondamento della cultura tecnologica e dello sviluppo urbano. Francesco Milizia in: Opere complete di Francesco Milizia riguardanti le belle artiTomo VI del 1827, chiarisce che: “All’architettura manca in verità il modello formato dalla natura; ma ne ha un altro formato dagli uomini, seguendo l’industria naturale in costruire le loro abitazioni. La rozza capanna è l’architettura naturale; la rozza capanna è l’origine della bellezza dell’architettura civile…” aggiungendo inoltre una distinzione fra il termine Imitazione e perfezione: La perfezione, o sia la bellezza compita dell’architettura, come di tutte le altre belle arti, consiste nell’imitazione della bella natura.(…) Imitazione, è la rappresentazione artificiale d’un oggetto. La natura cieca non imita: è l’arte che imita.”
Ne si deduce quindi che ogni forma di arte è un’imitazione della natura. Motivo per cui anche le azioni di un essere umano è l’imitazione di qualcosa.
In questa enunciazione si definiscono inoltre i ruoli sociali se si vuole in qualche maniera unificare ai fatti degli uomini1. L’imitazione quale scopo di appartenenza ad un determinato gruppo di individui attraverso la riproduzione seriale di un determinato atteggiamento, azione e condizione che ne evidenzi una qualche rilevanza di stampo sociale.
Gli esempi sono agli occhi di tutti, la pratica dell’autoscatto che oggi si chiamano selfie, oppure la mancanza di attenzione quando si guida o ci si trova in compagnia di qualcuno prestando le capacità intellettive all’utilizzo di un apparato digitale connesso con una rete cellulare. Oggi questi oggetti si chiamano smartphone.
Nell’articolo scritto da Martina Brusini “Significato dell’espressione smart: quando si usa”, si ha una chiara percezione di cosa ha sostituito chi nel vero senso del termine telefono intelligente. Continuiamo quindi a delegare ad altri le nostre azioni, ad un cellulare per ricordarci di postare una foto, oppure una ricorrenza o peggio di nutrire noi stessi e gli altri.
L’ingegno dell’essere umano deve essere coadiuvato dalla tecnologia al fine di alleggerire il carico di lavoro pesante per sostenere meglio quello di concetto, di ricerca.

Si definisce:

imprinting – In etologia, particolare forma di apprendimento precoce, irreversibile o comunque durevole, di alcune specie animali, per il quale, per esempio, nelle primissime ore della vita, riconosce e segue i suoi genitori, oppure un loro surrogato… Treccani.

La causa di questo menefreghismo di massa è dunque assimilabile a l’incapacità genitoriale di mostrare un comportamento sincero nei confronti di un determinato ambito sociale, ossia l’interazione fra individui e il contesto a cui appartengono.
La capacità atta ad esprimere un pensiero o un’azione, appartiene alla rivoluzione genetica a cui siamo fortemente legati, che distingue la fauna selvatica dalla popolazione umana sulla terra, è stato un processo evoluzionario a cui ancora oggi non è stata data scientificamente risposta.
Non sempre questo arricchimento ha portato ad una piena consapevolezza sui quesiti esistenziali, quasi amletici ,che col tempo poi abbiamo sviluppato e spesso temuto:

Chi siamo?
Da dove veniamo?
Dove stiamo andando?

La matrice alla base di queste domande, fa presagire l’appartenenza ad un altro mondo, a qualcuno di superiore e raccontano l’incapacità umana di sapersi orientare su di un pianeta alieno e sconosciuto, come se l’atterraggio non fosse stato programmato. Lasciati qui, stipati e esiliati.
Fuorvianti sono spesso le risposte che sottolineano l’assenza e questo manifestarsi di sensazioni d’abbandono tipico della condizione umana nelle varie epoche.

Il medioevo, il cui epiteto scelto fu definito come “il periodo buio”, richiama la mancanza di luce e di speranza, scelleratezza, incapacità di crescita. L’oppressione religiosa, la continua lotta alla supremazia sulle terre e sugli umani, incarnano perfettamente l’espressione. Tuttavia da un punto di vista artistico è stato un periodo di forte impatto, basti pensare al Dolce Stil Novo, ai portali finemente intagliati delle chiese, l’arte del costruire, il gotico, il romanico, e purtroppo anche quello della guerra.
Sarebbe più consono invece riformulare queste domande creando una condizione di appartenenza a questo mondo, al nostro mondo, quello fisico e quello interiore, invece di sentirlo estraneo ed ostile, ricongiungendoci a tutti gli aspetti della nostra evoluzione e non discernerli come parti separate di un individuo comune. Gli stessi quesiti poi, potrebbero perdere quello smarrimento che aleggia nei significati originali, presentare una qualsiasi sorta di individualismo aperto alle specie di propria appartenenza, includere in tutto ciò la possibilità di essere attori e autori della propria vita, dare un valore aggiunto a quello che è stato costruito e scelto dai nostri predecessori mettendo anche in discussione le loro idee malsane:

Cosa pensiamo di essere?
Cosa abbiamo lasciato?
Cosa vogliamo lasciare?

La rivoluzione o forse evoluzione sociale di oggi permette una maggiore capacità di comprendere gli avvenimenti che accadono nel mondo in un lasso di tempo infinitesimo.
Il problema maggiore sta di fatto nell’attitudine umana di saper filtrare ciò che è importante per la propria crescita e quella comune. Sfortunatamente si predilige il senso proprio dell’essere, occupando gli spazi altrui o peggio la competizione a chi è riuscito meglio nella vita mediatica e sociale, quella che vuoi mostrare a occhi bendati. Un sottoinsieme di quesiti invece potrebbero certamente porre rimedio a questi atteggiamenti ma se non è insita una qualsiasi forma di comprensione o sensibilità etica, ogni azione e affermazione è fine a se stessa, tutto è inutile, tutto è evanescente, tutto è vanità2.
Parafrasando Quoèlet nell’antico testamento, best seller noto ed in circolo da più di duemila anni, analizza perfettamente la condizione di vita attuale, soffermandosi forse sulla necessità che ogni azione è contraria ad una maggiore elevazione di un individuo rispetto al bene comune. La fondatezza delle sue affermazioni sono evidenti, come l’incapacità umana a fare fronte comunitario verso gli aspetti decadenti di un desiderio materiale rispetto a quello più supremo.
Vi è una necessità analitica che deve porre come base la capacità di discernere dalle situazioni potenzialmente dannose per l’intelletto umano. La voglia di creare connessioni non deve prescindere dalle reali necessità comportamentali di affermazione dell’identità personale in un contesto puramente informale. Le connessioni sono necessarie per la crescita personale che si amplifica con la divulgazione di risposte alle questioni scientifiche e di miglioramento della vita sulla terra. Le distanze sono azzerate ma sono prive di logica come lo sfruttamento delle connessioni, i collegamenti, per ordinare un’amicizia già pronta alla consegna dove per coltivarla si sfruttano le azioni piramidali per massimizzare i profitti a breve termine a discapito del reale potenziale, il benessere fisico e mentale, la crescita personale e la permanenza del nostro essere in un tempo indefinito, l’immortalità.
La verità è che viviamo in un grande schema di Ponzi dove a beneficiarne non sono i sentimenti, la conoscenza e l’informazione, ma la presunzione di appartenenza ad un cancelletto o ashtag che vidima la nostra presenza nel mondo virtuale. Tutto questa apporta beneficio all’ignoranza di massa dove conta più l’apparire che l’essere, l’ignorare che conoscere, il cinismo che l’altruismo.

Etica – …in quanto ramo della filosofia che si occupa più specificamente della sfere delle azioni buone o cattive e non già di quelle giuridicamente permesse o proibite o di quelle politicamente più adeguate. Treccani.

1Aldo Rossi, L’architettura della città

2Quoèlet, cap. 1 vers. 2

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13 pensieri riguardo “Imprinting sociale, quando l’adeguamento comportamentale diventa involuzione cognitiva

      1. Grazie a te per la risposta! Anche se non vale una scureggia rispetto al tuo, anch’io ho sfornato un nuovo post, in cui racconto una mia esperienza molto importante e molto personale… spero che ti piaccia! 🙂

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    1. Ti ringrazio per il tuo intervento e soprattutto per averlo letto con attenzione.
      Che dire, sono osservazioni della realtà che ci circonda. Se non sei social sei da escludere, se non ti adegui sarai isolato e se ti isoli sarai ripudiato. Dunque, in questa società digitale qualsiasi cosa tu faccia è sempre quella sbagliata tranne quella che ti farà apparire uniformato alla matassa (o massa). Un groviglio di materiale umano eterogeneo che non va da nessuna parte, segue solo la direzione del vento. Un po’ come quei rotolacampo o sasola che vedi nei film americani, che nella desolazione del nulla rotolano senza meta. Questa è la tecnologia di oggi, aggrega, separa e segue il vento della moda.

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  1. Verissimo, ma non essere triste. Il social deve aiutare a coltivare le proprie passioni e trasmetterle, per aggregare altri ashtag che la pensano come te. Questo è il primo passo, quello successivo è essere uniti nella divulgazione di informazioni utili per la vita di tutti e poi provare a viverle. Incontrarsi e soprattutto vivere al di fuori del contesto virtuale.
    Siamo socialmente asociali!
    Paradosso?
    Realtà!

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  2. Molto interessante, credo l’elemento condizionante sia la tempistica, nei tempi antichi, storicamente anche recenti, ogni innovazione veniva metabolizzata, spalmata, su più ricambi generazionali, oggi potremmo definirle (le innovazioni continue) “traumi” collettivi.

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    1. Come hai giustamente osservato, era questo l’intento dell’articolo, evidenziare come l’innovazione tecnologica pesi sullo sviluppo sociale. Mi piace molto questa tua affermazione: «”traumi” collettivi». Ci sarebbe molto da scrivere, ma grazie del contributo, mi ha colpito positivamente.

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