Rêves – 27 ottobre 2017

«Mi trovo sulla strada in compagnia di persone indefinite il cui viso mi è familiare ma di cui non conosco il nome. Sono due donne di bassa statura capelli lunghi e scuri. Cammino insieme a loro discutendo del più e del meno e seguiamo una via di città senza auto, una di quelle pedonali circondata da pub all’inglese con insegne squadrate e saracinesche di colore rosso acceso. Non vedo nessuno oltre noi che percorriamo un imprecisato percorso. Entriamo in un negozio e mi trovo catapultato in compagnia di alcuni amici, ma questi sembrano essere colleghi di università.
In questo luogo vedo persone giovani che salgono delle scale mobili, con fare molto sicuro, deciso percorrono le rampe in salita. Mi spiegano che sono iscritti all’università e sono decisi a laurearsi e per farlo devono seguire scalare queste scale. Così mi incuriosisce dato che sono interessato anche io a conseguire la laurea, pur essendo iscritto da molto tempo. Così cerco di capire la loro motivazione.
Sembrano degli automi, figure longilinee con uno sguardo fisso verso l’orizzonte, vestiti di scuro. Salgono quelle rampe con velocità macinando gradini, alle volte in movimento. Non noto nessuna fatica. Insieme a questi “amici” seguiamo una parte del loro percorso.
Adesso siamo su di una vetta fangosa, mi ricorda un paesaggio di alta montagna in una delle regioni del Tibet. Non ci sono più scale ma una meta. Un edificio in lontananza dove, a detta dei colleghi si definisce come l’ultimo passo per ottenere la laurea. Vedo questi automi che si destreggiano nel fango camminando con tranquillità mantenendo lo stesso passo svelto e deciso riscontrato prima sulle scale mobili.
Provo a seguirne uno e vedo la difficoltà nel mantenere la posizione, l’equilibrio. La gamba affonda nella terra intrisa di liquido viscido che ne rallenta pesantemente l’andatura. Il percorso destinato agli osservatori è meno battuto, quindi la terra non è compatta come quella seguita dagli automi.
Mi trovo adesso all’interno dell’edificio. In una stanza piccola sono appoggiato con questi colleghi ad una finestra panoramica, seduto sul parapetto di questa apertura chiusa che mostra solo la luce e un panorama sfocato quasi illeggibile. Guardo verso la porta aperta, davanti a me un corridoio, tipico di qualche ufficio pubblico costruito negli anni’60. La fine di questo corridoio non è visibile. All’interno di questa stanza vi è una porta da cui escono gli automi con una postura più umana quasi incurvata dal peso della decisione. Ogni qual volta esce una persona la porta si apre e si richiude automaticamente. Non si capisce quale sia stato l’esito della commissione. Il mio collega appoggiato alla finestra mi spiega chi è passato e chi no.
Io sono seduto adesso sul tavolo della scrivania posta davanti questa porta che sbarra l’accesso allo stanzino degli automi. Adesso è un segretario a comunicare quali automi hanno superato l’esame e conseguito la laurea. Mi sento sollevato sapere che la maggior parte superano il percorso e vedendo la linearità mi convinco ad iscrivermi alla laurea, non al corso di studi che già seguo.
Così il segretario responsabile osserva i miei colleghi e verifica la nostra posizione amministrativa. Indica chi può iscriversi e chi no. Convinto della scelta attendo il mio nome. Con sorpresa i miei colleghi, la maggior parte vengono definiti sospesi mentre alti passano la selezione. Domando sul criterio con cui classificano gli aspiranti laureati al collega che si trova accanto alla finestra ma non mi fornisce alcuna risposta. Penso fra me e me che forse sia un ex galeotto e non possa accedere a quel percorso oppure semplicemente non è iscritto. Ci spostiamo tutti verso il corridoio finale degli automi dove ci spiegano di non disturbare i docenti che si trovano all’interno dello stanzino e ovviamente di non guardarli mentre svolgono le loro funzioni.
Esco per ultimo insieme al mio collega sospeso. Uscendo dalla stanza scorgo quella stanza che in realtà sembra uno stanzino ma gli automi non entrano lì. Vi è una porta sulla parete di destra del corridoio proprio accanto a quella dei docenti dove il movimento di automi si fa più evidente. Mi pare di capire che lo stanziano sia una sorta di camera della regia. Si trova avvolta dall’oscurità i cui visi vengono occultati dal fitto buio. Si scorgono le figure degli occupanti a quanto pare numerosi, un ambiente quasi claustrofobico.
Immediatamente mi trovo catapultato nel sotterraneo di una vecchia metropolitana o di un grande magazzino dove il collega scartato mi indica la cassa per iscrivermi al percorso che ho appena osservato. Supero il primo tornello e attendo l’arrivo della segretaria/cassiera. Pongo delle domande sull’iscrizione, mi lascia in attesa ma il collega scartato mi accenna sulla procedura da seguire. Da qui capisco che forse era già laureato e non un ex galeotto come prima pensavo. L’arrivo della cassiera sancisce l’inizio. Chiedo informazioni sulla parte amministrativa, accennando a quanto mi aveva spiegato il collega sul foglio col numero di matricola e un oggetto che dovrò sempre portare con me. Mi dice che se ho la pazienza di attendere mi fornirà la striscia di carta con la matricola che dovrò sempre portare con me fino allo stanzino della commissione. Non dovrò perdere questo oggetto che mi daranno.
Una volta consegnato il tutto, saluto calorosamente i miei colleghi e supero il tornello.
Davanti a me la prima scala mobile, mi giro verso sinistra e trovo altre rampe, alcune recintate altre solo con degli ostacoli. Così decido di prendere il primo davanti a me salgo il primo gradino e mi trovo spinto verso delle zavorre, enormi scatole. La scala non funziona, non sale. Intanto si è attivata l’altra accanto dove vedo salire gli automi, un po’ più umani rispetto a quelli che avevo visto precedentemente. Inizio a pentirmi della scelta, rimpiangendo di non aver preso quella più libera. Queste scale mobili sono di colore rosso, come quelle della Standa di una volta. Allora da lontano sento l’incitamento degli amici:
– “Spingi, spingi”.
Col bacino e le gambe ben piantate inizio a spintonare con la pancia questi enormi transenne e ad ogni colpo di reni la scala subisce un movimento. Inizio a pensare che questa difficoltà è una fra le tante che incontrerò e la prossima volta dovrò scegliere le varie opzioni invece di accettare quella davanti a me. Sento la fatica di questo movimento ma da lontano sento l’incitamento e continuo l’impresa.
Adesso sono all’interno di un vano scala in compagnia di un collega pazzerello, confusionario. Un edificio di scarso pregio però pulito. Sono sul pianerottolo e mi si apre una parete dove abitano quelle ragazze di costituzione robusta che mi accompagnavano all’inizio. Mi offrono il loro aiuto e il collegamento internet per acquisire conoscenza per arrivare con meno difficoltà alla vetta. Faccio andare avanti il mio collega restando fermo sul pianerottolo, mentre lui lo vedo già posizionato davanti a questo computer ed invece di sfruttare l’aiuto osserva i video delle telecamere a circuito chiuso di quella stanza dove abitano quelle due ragazze. Appena entra l’altra ragazza comprendo dall’immagine sul monitor che mi trovavo di fronte ad una coppia e non a due amiche. A disagio per il comportamento inizio a salire da solo salutando le due ragazze.
Adesso mi trovo al centro di una piazza desolata. Un edificio in costruzione quasi terminato e un costruttore che inveisce contro di di me.
Lo inseguo per le scale, lui va avanti di corsa fino ad arrivare all’affaccio. Davanti a me scorgo questa parete vetrata che si estende sulla piazza e il costruttore mi minaccia che la prossima volta mi avrebbe distrutto. Non capisco il diverbio avuto ma sento ostilità. Nonostante avessi superato quella prova mi trovo a chiedere soddisfazione contro quell’atto di prepotenza.
Guardo dall’apertura posta di fronte a me il panorama che si materializza. Cerco di capire dove si trovi la vetta da raggiungere e mi accorgo che questa è molto lontana dal luogo in cui mi trovavo. Ho deviato troppo e devo tornare nella piazza. Non dovevo andare a destra ed entrare nell’edificio. Il costruttore mi aveva distratto dall’obiettivo.
Vedo che l’uomo, dopo aver parlato con i manovali, scende di corsa le scale per tornare nella piazza e io lo inseguo, lui non mi vede e cerco il momento giusto per farlo cadere e mettere in atto contro di lui la minaccia rivolta a me. Mentre metto il piede davanti alle sue gambe osservo dalla finestra il panorama e cerco il punto di riferimento. Dovevo uscire dall’edificio in costruzione per tornare in piazza. La strada sarà lunga e tortuosa mentre la vetta risulta così alta e così distante da raggiungere…»

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