
Spesso il significato letterale di una frase ben si scosta da quello d’uso comune del termine stesso. In tutto questo, il linguaggio appreso fra i banchi scolastici prima e nella vita poi, conducono ad una chiara riflessione che si potrebbe grosso modo tradurre così:
Silenzio, se vi piace!
Un imperativo letterale camuffato forse da un gentile suggerimento?!
In realtà il francese, intesa come lingua, appartiene a quel gruppo di linguaggi la cui radice si fonda nel latino antico. Spesso un vocabolo si avvicina a quei termini tradotti in italiano che per certi versi ci portano piuttosto a travisare il vero significato della parola stessa.
Sulla base di una traduzione letterale, forse è fuorviante pensare che il tono imperativo nel chiedere il silenzio, ponga in essere la possibilità di scelta sulla base di preferenze personali. Ma per i francesi è basilare l’educazione ed il rispetto delle regole della buona educazione, quindi per la nostra cultura, ancora fatta di silenti gesti di gratuita indolenza, il suffisso s’il vous plaît è associato comunemente al corrispettivo in lingua per favore (anche sul significato letterale della frase ci sarebbe da aprire un confronto, ma non risulta essere pertinente al momento).
Ma alla luce dei fatti quotidiani, dal modus operandi di una moltitudine di individui appartenenti alla società digitale, dimostra quanto in realtà questo imperativo trovi spazio nelle azioni spesso coercitive nei soggetti più sensibili ed emotivi, quasi a punire ed insinuare dubbi sulla propria condotta.
Soffermarsi sul significato reale del termine spesso aiuta a comprenderne tutte le sfumature che in una società contemporanea come la nostra, vengono quasi messe da parte se non cancellate dall’immaginario collettivo, esaltando o meno aspetti materialistici legati ad un brand o peggio ancora ad un aspetto comunicativo di matrice commerciale.
Ciò che attribuisce la Treccani al significato del termine silenzio, apre la strada a molte interpretazioni. Da un lato una pratica ormai desueta, dall’altra quella attuale che tacitamente viene usata ed abusata dagli esseri umani di tutto il mondo.
La linea di demarcazione che esalta l’esercizio di questa funzione è quasi invisibile a tanti, ma diventa netta ed imprescindibile quando ad essa vengono associati sinceri sentimenti, quale l’odio e l’Amore.
Forse due facce della stessa medaglia, in un periodo storico povero di intenzioni e di intenti. Sono i sentimenti negativi a muovere le pedine, in un gioco grottesco ed oscuro, dove gli individui vengono valutati sulla base delle loro qualità comunicative ed aggregative invece che di quelle espressive e fondamentali per la vita comunitaria. Quella capacità di saper muovere le masse, isolando poi coloro che coltivano il rispetto per se stessi e gli altri in una forma quasi religiosa e concreta che va oltre l’esistenza umana. Ed ecco che si manifesta la parte negativa di un’azione così grande ed eloquente quale il silenzio.
L’interazione verbale nella vita dell’essere umano, ha sempre occupato un posto fondamentale nello svolgimento dell’esistenza comunitaria, sin dall’alba dei tempi. Il desiderio di esprimere le proprie emozioni ha subìto una naturale evoluzione verso quella che viene chiamata comunicazione diretta. Dirette come le azioni che circondano un gesto o un avvenimento e da qui in poi si andrà verso un altro tipo di dialettica, quella del linguaggio del corpo.
Basti pensare a come interagisce un essere vivente con i membri appartenenti ad un’altra specie. Spesso si instaurano vere e proprie collaborazioni finalizzate alla sussistenza e al mantenimento delle rispettive specie, altre invece provocano contrasti che interferiscono con la continuità delle due grandi famiglie. Un esempio eloquente è proprio l’incontro fra un umano ed un felino. Spesso è contornato da una serie di sguardi ed impercettibili movimenti che nella totale quiete vanno ad essere posti quesiti sulle reali intenzioni di ognuno. Raramente un gatto comunica con un estraneo “verbalmente”, eppure lascia al silenzio e al suo movimento la risposta alle domande poste dal suo interlocutore.
In un articolo, “Il silenzio dosato: una forma di manipolazione” si evidenzia la decadenza e l’abuso di questa pratica religiosa, accennata all’inizio. In pratica l’autore sottolinea come l’assenza di comunicazione diretta possa sfociare in comportamenti negativi passivi aggressivi nella vita di tutti i giorni. Sostanzialmente questo genere di manipolazione non verbale, viene applicato da quei soggetti che sfruttano il potere dell’assenza di intenzioni, insinuando nella controparte più emotiva dubbi e timori, condizionandone spesso l’esistenza e la serenità.
Tutto questo confluisce nel calderone che pochi conoscono come Disagio digitale. L’assenza di dialogo, la voglia a tutti i costi di appartenere ad un numero di iscritti e allo stesso tempo distinguersi per le proprie qualità comunicative. Il desiderio di trasmettere sensazioni ed emozioni attraverso l’etere digitando nervosamente lettere e punteggiatura su piattaforme social che qualcuno dall’altra parte acclamerà, ovvietà stilistiche. Il tutto inglobato in un alone di silenzio mortale in cui non è ammessa alcuna forma di interazione umana con l’ambiente circostante, ma soprattutto con gli amici e amiche, quelle vere in carne ed ossa e non in codice binario associato ad una identità falsa e costruita. La coerenza si è livellata al contesto digitale. Entrambe le amicizie, quando finiscono, subiscono lo stesso taglio netto. Per quelle digitali il blocco e l’impossibilità ad essere contattati, nell’altro un silenzio imposto, nessun saluto, nessuna frase, nessun suono emesso. Indifferenza!
Ma provocatoriamente è questa la direzione intrapresa dalla comunità contemporanea di internauti ed influencer, che attraverso un abile gioco di assonanze, promuovono o condannano un prodotto sulla base di fantomatiche tendenze e/o di reali interessi. Così anche i sentimenti vengono brandizzati e gestiti con un click.
In tutto questo è bene riuscire a cogliere la parte sana del mondo digitale, aperto alla conoscenza e alla condivisione di esperienze, che con brio e serietà mitigano il decadente sfruttamento delle intenzioni.
Ben più argomentato quanto mai reale ciò che ha descritto nell’articolo di Silvia Sbaffoni dove l’aspetto “cerebrativo” della tecnologia affronta il distacco generazionale di chi ha vissuto i tempi della rivoluzione digitale, da quando si era più vicini pur essendo lontani, a quanto oggi si è distanti pur essendo vicini.
Affrontare anche gli aspetti più emozionanti del silenzio, permette in un certo qual modo di rivalutarlo e riabilitarlo alla sua più chiara ed espressiva connotazione, quale azione curativa dell’anima.
Un filosofo mistico orientale, Osho Rajneesh, distingueva il silenzio in due diverse tipologie.
“Ci sono due tipi di silenzio: uno che puoi coltivare e uno che accade, che ‘arriva’. Il silenzio coltivato non è altro che rumore represso.(…) Se il vero silenzio accade, niente può disturbarlo, anzi ogni disturbo non fa che esaltarlo!” [Osho L’ABC del risveglio – Mondadori]
Quanto difficile sarà mai ascoltare il rumore assordante del Silenzio?!
Tutte queste definizioni trovano riscontro nel desiderio di stare con se stessi ed imparare ad ascoltarsi. Il termine assordante non può essere soltanto una connotazione rafforzativa ma ne definisce una sensazione reale. Il fatto di entrare in un ambiente isolato e privo di rumore, provoca sensazioni di reale fastidio, come se quella coltre di silenzio generasse una pressione tale da provocare poi sensazioni piacevoli di quiete, rilassamento.
In quello stesso stato è possibile poi definire il silenzio nella preghiera, non riferendosi necessariamente alla cultura popolare imposta dai dogmi e che ne definisce vere e proprie regole di condotta nei luoghi sacri. Lo stesso Osho ne dà chiara ed esaustiva definizione:
“Non conosco altra preghiera che il silenzio assoluto.
Nel momento in cui dici qualcosa l’hai distrutto. Per questo le preghiere che si recitano nelle chiese, nella moschee, nei templi e nelle sinagoghe non sono vere preghiere, perché dicono qualcosa.
Cosa c’è da dire al Tutto? Lo sa già! Prima di noi, il Tutto lo sa già! È stupido dire cose al divino, è senza senso. Ci si può soltanto sedere in silenzio.” [Osho L’ABC del risveglio – Mondadori]
A prescindere dai concetti religiosi espressi e dalle provocazioni, vi è una chiara presa di posizione riguardo l’importanza del silenzio, come contatto fra se stessi e Dio, una chiara forma di discernimento dialettico. Un Amore verso se stessi e gli altri che culmina nell’abbandonare la componente comunicativa verbale in favore di quella superiore e più eloquente, se praticata con consapevolezza e con le giuste intenzioni.
Anche i musicisti, poeti e artisti hanno trovato nella bellezza del silenzio la propria ispirazione, spesso omaggiandone con versi, strofe e colori.
Sinceramente, è importante prima di ogni azione valutare bene cosa si vuole trasmettere quando si sceglie di non esprimere un pensiero verbale, una telefonata o un sms, specie se questo ha lo scopo di ferire qualcuno con l’indifferenza.
Il silenzio è comunicativo solo se praticato con intenzione di migliorare la propria condizione emotiva e non per punire qualcuno.
Il silenzio è Amore, infinito ed espressivo, quindi:
Silenzio se vi piace!
Rieccomi! Ma non lo aggiorni più il tuo blog?
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Ciao wwayne. Ti ringrazio della visita. Certo che lo aggiorno. Al momento sto organizzando qualche nuovo contenuto, tornerò presto. Grazie per la premurosa attenzione.
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Mi fa molto piacere che tu non ci abbia abbandonati: il tuo talento come blogger non deve andare sprecato. Grazie a te per la risposta! 🙂
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Bellissima analisi di quanto il silenzio, quando subìto, possa creare malumori e dispiaceri.
Non sarebbe più maturo spiegarsi e poi decidere se proseguire o meno la strada insieme?
Come hai scritto, il silenzio può anche essere riflessione. Tutto dipende dal tempo. Se ne passa troppo, forse è meglio mettersi l’anima in pace e andare avanti 😊
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il silenzio è come la solitudine, una panacea per lo spirito.
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