
Piacevole commedia francese dai toni riflessivi ed estremanti sui luoghi comuni più disparati riguardanti la “disabilità”. Epiteti che sovente ci si avvale per etichettare una condizione di normalità al di fuori del nostro consueto vivere.
Eppure questo film narra uno spaccato veritiero del finto moralismo che aleggia negli spiriti della società contemporanea. Gli stessi progettisti, i legislatori, sono continuamente chiamati a venire incontro alle esigenze di chi cammina con le ruote. Freddo ed impersonale il termine medico adottato, “deambulare” oppure sinonimi importati dal nuovo mondo che stabiliscono paradossi linguistici come “diversamente abili” o altri vocaboli tecnici prelevati dai prontuari normativi.
Diversi da chi poi?
A questa domanda non sarebbe difficile dare risposta, se si dovessero seguire i dettami appresi nella comune scuola. In questa pellicola invece, si percepiscono le note ironiche della protagonista che evidenzia la diversità come una reale esistenza a mezza altezza.
I luoghi comuni di quell’eterno giovane con le gambe si scontra con il desiderio di conquista della sua vicina che per un fraintendimento, si trova immischiato in una situazione paradossale e tragicomica da lui stesso creata, ma che in realtà viene travolto dalla potenza emotiva di quella donna, la sorella della vicina, che scompone ogni forma di luogo comune sui camminatori circolari.
In realtà ciò che diversamente vivono è l’esternazione dei sentimenti, di una vita amorosa attiva e che necessità di stimoli continui. Piccoli impulsi che generano brevi e consistenti vortici di felicità, di leggerezza, che si concludono spesso con uno sguardo alterato di chi bene e volente pesa più il suo attrezzo che la sua armonia.
Suadente è l’ironia a cui si presta la protagonista in cerca di quel piccolo uragano emozionale in una vita di grandi soddisfazioni lavorative e sportive, dove alla fine si troverà a vivere in quell’ovattato mondo di cortesi atteggiamenti rispettosi verso la sua condizione fisica più che per quella emotiva.
La critica lo ha definito “una commedia politicamente scorretta” ma realmente bisogna domandarsi cosa sia politicamente corretto, identificarli attraverso una pietà indotta, ignorare la loro presenza quando si incrocia il loro sguardo oppure atteggiarsi nei loro confronti come una qualsiasi altra persona che si incontra per strada?
Raramente è possibile stabilire un contatto diretto con chi ogni giorno ruota su quei marciapiedi dissestati e privi di scivolo. Altrettanto infrequente l’approccio con coloro che faticano a stabilizzare quei dischi sulle strade a schiena di mulo che, notando la fatica di quel precario equilibrio, offrano anche verbalmente un aiuto concreto.
Fresca è invece quella risposta dolce e cortese al suono di: “Vuole una mano?”
Un sorriso carico di speranza e di assoluta felicità sia nel conduttore che nel conducente, quanto rassicurante la risposta positiva che tutto va bene, che può farcela e che ha apprezzato quel vocalizzo propositivo di accettazione della loro condizione di stress verso una strada che non permette il rotolamento corretto delle ruote, ma del decorso esistenziale in genere.
Quando si assiste ad una parte della loro vita sociale, emerge più la compostezza di chi li accompagna, intenti ad osservare le vetrine allestite mentre intorno scorrono esseri a tutta altezza che percorrono la gimkana di ostacoli fisici di chi occupa quel lembo di marciapiede e non può materialmente scansarsi, il capo ritto di chi a cavallo di quelle ruote rimane con lo sguardo perduto verso l’orizzonte quasi a scorgere il paesaggio che presto incontrerà o che vorrebbe vedere aprirsi a se.
Non vi è alcuna scuola che insegna l’approccio emotivo, quell’educazione all’Amore che spesso viene a mancare nella crescita di un individuo nei confronti di coloro la cui vita diversa dalla propria, è un tratto caratterialmente imprescindibile dalla condizione di movimento fisico e cognitivo in cui si trova.
La verità è che siamo diversi e questo non viene accettato dai principi fondamentali della nostra società, che ci impone l’uguaglianza ma non la parità.
Siamo tutti uguali, anche chi ruota con le proprie braccia, ma non siamo pari agli occhi della legge e del luogo comune. Ci si presta a confondere i due termini come variante dello stesso significato, in verità sono ben distanti i concetti dai contenuti.
Questo film racconta proprio l’abbattimento del luogo comune in favore di una ben più importante lezione di vita. La stessa che riceverà il protagonista maschile nell’ultima scena a conclusione di questa emozionante pellicola che tanto potrebbe ispirare chi fa dell’integrazione quale fondamento paritario della vita sociale nel mondo di oggi.
Difficile quanto impossibile scovare nelle scuole o nelle palestre, corsi che permettano l’apprendimento e i rudimenti nell’uso della sedia a rotelle per i bipedi volenterosi né tanto meno persone disposte a partecipare a campionati sportivi in carrozzina. Perché in realtà non viene accettata quella condizione o forse si ha paura di affrontare un demone che aleggia sul male della nostra società?
Già, perché è politicamente scorretto gareggiare contro un corridore circolare?
Per scaramanzia, o per rispetto, oppure per timore di essere da meno di chi nella limitazione ha trovato forzatamente un equilibrio instabile?
Quindi è più rispettoso relegarli a campionati di lega a loro dedicati invece di abbassare il livello di mobilità dei bipedi per dare pari peso allo sport che si vuole praticare insieme, nell’assoluta parità dei ruoli. Perché fa comodo ed è politicamente corretto agire così, senza sentimenti e senza ragione alcuna.
Sono spunti riflessivi su quanto ancora il genere umano deve lavorare per rendere questo mondo a portata di tutti e debellare i concetti arcaici e restrittivi che ancora sono innestati nel nostro essere, testimonianza dei dogmi che involontariamente si trascinano dal tardo medioevo.
Tuttavia è possibile piuttosto imparare da chi pratica ogni giorno quel movimento su ruote come una condizione necessaria alla vita di tutti i giorni, un protendersi verso la strada tortuosa dell’esistenza per la quale siamo tutti costretti a percorrerla. Magari apprendere la visione di coloro le cui braccia, sostengono quel carico fisico a cui attribuiamo gli sguardi pietosi travestiti da empatici modelli di comportamento.
Non è irrispettoso o politicamente scorretto percorrere insieme quel tratto di vita con lo stesso mezzo e alle stesse regole, se le intenzioni sono quelle di condividere le gioie e le amarezze delle rispettive esperienze.
Solo pochi al mondo possono servirsi di un cerchio per inseguire una linea retta.
Ho letto tre volte. Per capire bene. A me viene da sorridere, perché è proprio quando non si parlerà più di diversità che la diversità verrà a cadere.
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Infatti è questo che emerge dal film, il fatto che la protagonista debba scontrarsi sempre con gli epiteti politicamente corretti a definire la sua condizione, cosa che il protagonista maschile, nelle sue mentite spoglie, non si accorge, anzi impara a conoscere quella donna senza pregiudizi, alla pari immedesimandosi per uno scopo futile e materiale che poi diventerà qualcosa di più.
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Una favola 😊
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Già, una favola dei giorni nostri! 🙂
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