Edith Piaf, una vita scandita dall’Amore

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Fonte: Bonappetour

Indubbiamente un personaggio emblematico della prima metà del 1900. Una persona che ha fatto di questo sentimento un suo scopo nella vita.

Come tutti conosciamo una delle più famose canzoni da lei interpretate, “La vie en rose” ma solo quando mi sono avvicinato veramente alla cultura francese, vivendoci per un periodo, e ascoltando la loro musica, ho imparato quanto in realtà sia lei la Francia. Ha commosso generazione di giovani, che a suo tempo, ha donato loro una chiara visione dell’Amore, quel sentimento verace e totalmente carico di emozione e dolore allo stesso tempo, simbolo di quella vita toccata prima dalla guerra e poi dal dolore fisico.

Osservando un documentario a lei dedicato, dapprima incuriosito dalla “Francia che mi chiama”, il modo che personalmente definisco quando in me si instaura la paura di dimenticarmi di Lei e di essere dimenticato, ecco che si materializza una produzione d’oltralpe chi mi riporta a quella cultura a me tanto vicina al cuore. Grazie a questo legame mi sono connesso ai pilastri della musica francese ed ho scoperto un lato diverso della Edith Piaf, non più un personaggio sofferente dai testi nostalgici e amorevolmente tristi, ma un essere umano di grande spirito che nel canto ha trovato il suo modo di esprimere l’Amore.

Come tanti mi sono avvicinato a lei tramite le cover attualizzate dei suoi più famosi brani, perché la verità è che si cerca sempre un’attualizzazione specie quando il divario generazionale e storico è pericolosamente lontano.

Una vita certamente travagliata dal punto di vista sentimentale che l’hanno ispirata a non lasciarsi andare, accontentandosi anche del ruolo di amante non perdendo però la sua indole gioviale e briosa fino al fatidico giorno in cui, per un viaggio anticipato, il suo amore trova la morte fra i cieli delle Azzorre.

Quel testo e quella canzone “L’hymne à l’amour” cantata con struggente forza tanto da sembrare all’inizio una nenia che culla quel pensiero soave di lei e la sua felicità col suo Marcel.


Oggi invece, troviamo un modo di interpretare diversamente questo brano, forse un po’ vicino alla nostra epoca di incontri culturali e di condivisione come quella interpretata da Saïna Manotte e Maxime Manot trasformando così da una dedica ad un amore perduto d’altri tempi ad un invito ad immergersi nel romantico amore nostalgico.

Spero possiate anche voi apprezzare queste sfumature e magari le stesse emozioni che questi due cantanti hanno suscitato in me


Questo brano continua ad ispirare anche giovani musicisti lontani dalle nostre latitudini come in Asia. Come questo bellissimo duetto piano-flauto traverso con contorno di archi che vi propongo. Magari chi non apprezza la timbrica fischiettante e quasi classica storcerà un po’ il naso, ma ne vale la pena comunque ascoltarla per perdersi un po’ pensando ad un amore lontano nel tempo e nello spazio.

Nella lingua italiana parlata non esistono suoni legati al rotacismo (tralasciando il campo medico) quindi è difficile comprendere come nella canzone francese di un certo spessore, sia in realtà un elemento che dona al brano una certa raffinatezza, ma in verità quel “gorgoglio” dato dalla pronuncia della r armonizzata al suono, sono un segno distintivo dello stile di Edith che è possibile trovare in una cantante francese in ascesa. A noi magari non dice nulla né il nome né la sua provenienza, ma personalmente trovo nell’interpretazione dei suoi brani sbarazzini e freschi con un chiaro riferimento a quel rotacismo piafiano. Si tratta di Claire Pommet in arte Pomme une lyonnaise che ha deciso di vivere il suo sogno a Parigi. Avrò modo di raccontare qualcosa in più in un articolo a lei dedicato.

Tornando a Edith mi piace legarla all’idea pittoresca parigina. Quell’aria che tanto attira gli innamorati a percorrere incantati fra le strade di Parigi. L’accordeon o fisarmonica spesso associato alla musica popolare francese vestiti un po’ come gondolieri e col basco sul capo, riesce a descrivere nell’immaginario collettivo l’aria che si respira fra le strade di Parigi (ogni riferimento è chiaramente voluto). L’interpretazione di “Sur le ciel de Paris” a chi non suscita emozione?

Ve ne dò un assaggio:


Ovviamente, non voglio dimenticare chi mi ha permesso di poter apprezzare questi testi e che mi ha accompagnato nelle mie lunghe sessioni di disegno, che ha fatto del jazz francese il suo stile di vita: Zaz.


La sua versione è più nostalgica, tenue rispetto all’originale, non perdendo di vista però il brio che è possibile riconoscere a chiari suoni nelle strofe successive. Un crescendo di vitalità e una interpretazione contemporanea forse più accettata nel mondo musicale dei nostri giorni.

Non voglio certamente scrivere della malattia di Edith ma voglio ricordare questa simbiosi quasi viscerale col canto. Per lei non esistevano pause ed ogni sera nella sua vita e in quella di chi l’ascoltava, doveva essere l’ultima, esibendosi fino allo stremo. Ma se ami qualcosa la fai fino in fondo e forse non vi è morte più dolce che cadere nel compiere ciò che si ama.

Questa forza voglio sottolineare, una lotta contro se stessa e coloro che la scoraggivano ad esibirsi per paura di perderla.

Oggi come allora tutti la vogliono ricordare come quella gracile donna de “La vie en rose” colonna sonora di un film francese, uno dei due che possiedo nella mia videoteca che ho acquistato e visto in lingua originale negli ultimi giorni del mio soggiorno francese: “Jeux d’Enfants”.


Così questo è il mio omaggio a te Edith che hai fatto dell’Amore la tua direzione nella musica e nella vita.

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